giovedì 3 maggio 2007

Appello Mussi-Angius per la manifestazione nazionale del 5 maggio a Roma


Abbiamo condotto la battaglia congressuale all'interno dei Democratici di Sinistra da posizioni diverse. Ora ci troviamo insieme per affermare la necessità storica che anche in Italia, oggi e domani, sia presente un'autonoma forza democratica e socialista, laica, riformista e ambientalista parte integrante del Pse. Di governo.
Le idealità e i valori del socialismo moderno, aperto alle nuove culture, danno forza all'Europa e a quanti non si rassegnano alla ineluttabilità della guerra, e non accettano così profonde disuguaglianze del mondo contemporaneo, messo a rischio di sopravvivenza dalla devastazione ambientale e dai cambiamenti climatici, indotti dall'attuale modello di globalizzazione e di sviluppo.
L'Italia ha bisogno di una grande rigenerazione morale, politica, sociale, culturale e civile. E' un compito che vede impegnate nel governo del Paese, per la prima volta nella storia della repubblica tutte le forze del centrosinistra di diversa ispirazione politico culturale. Il Paese deve essere ben governato per rinnovarsi e restare così ancorato al gruppo di testa dei paesi fondatori dell'Ue.
Per fare ciò, oggi, il governo ha bisogno della massima coesione e determinazione di tutta l'Unione. A tal fine continueremo a dare tutto il nostro contributo affinché il governo Prodi realizzi il suo programma nel corso della legislatura.
La scomparsa dei Ds pone l'esigenza di ripensare tutta la sinistra italiana. L'apporto che vogliamo dare è quello di contribuire a far sì che, dopo decenni di divisioni e di rotture, maturi in tutte le diverse componenti della sinistra italiana l'esigenza - ormai improrogabile - di una netta inversione di rotta, offrendo alla società italiana una sinistra che, nelle sue distinte peculiarità, ritrova la sua missione unitaria di rappresentanza e di governo. Per noi questo percorso non può più essere rinviato. Deve iniziare subito.
Per questo diamo appuntamento a tutti coloro che non considerano esauriti i valori e la forza della sinistra e del socialismo europeo a Roma, il 5 maggio alla Manifestazione per dare vita al movimento della "Sinistra Democratica per il Socialismo europeo". Movimento diffuso su tutto il territorio nazionale, radicato nel mondo dei lavori, della cultura, delle nuove generazioni. Che assume il rinnovamento della politica, forme nuove di partecipazione e la "questione morale" nel suo programma fondamentale.

Intervento di Gavino Angius al IV° Congresso Nazionale dei DS

Vorrei fare una cosa quasi assurda. E discutere con voi come se non ci sentisse nessuno.
Si scioglie la più grande forza della sinistra italiana. Queste settimane abbiamo sentito tante parole: “ andare avanti”, “fare in fretta”, “non si può tornare indietro”.
Qualcuno ha detto una frase che mi ha molto colpito e anche un po’ ferito: “andare avanti anche se si perdono pezzi”.
Come se le nostre Compagne e i Compagni fossero pezzi. Penso che si sia sbagliato a dire questo perché se convengo con Fassino sia sbagliato l’idea che separarsi possa essere considerato il modo giusto per risolvere i problemi, non è però errato chiedersi su che cosa ci si unisce, quando soprattutto cessa di essere se stessa una forza politica autonoma.
Francamente pensavo che presa la decisione di dare vita al nuovo partito ci sarebbe stata nella relazione di Fassino una più coraggiosa apertura, insomma una nuova iniziativa politica rivolta non a noi, per carità, o alla mozione di Fabio Mussi, ma alle altre forze riformiste.
Una più coraggiosa e nuova iniziativa. Nella sostanza non è stato così. Francamente non riesco a capire bene che cosa della nostra mozione sia stato accolto, parlo delle proposte essenziali. Naturalmente lo ringrazio per l’attenzione, le mie riserve restano e il mio dissenso è confermato.
Non condivido il carattere del Partito che si profila, ritengo sbagliato il percorso e il suo ristretto orizzonte culturale. Il contenuto della mozione lo conoscete, care Compagne e Compagni, già il nome “Democratico e Socialista”, qualcosa vorrà pur dire di diverso di distinto; chiedevamo un’impronta laica più forte, un partito federato che senza sciogliersi cercasse di unire le politiche, le culture politiche del riformismo italiano quella socialista, laico liberale, cristiano democratica, ecologista aperto di più ai movimenti moderni dal femminismo alla non-violenza.

Un ressemblement, qualcosa di nuovo, di diverso e di originale.Io non condivido il progetto così com’è, come viene fuori dai due congressi della Margherita e dei DS, se lo avessi condiviso non avrei presentato la mozione e poi diciamoci le cose come stanno, non stiamo decidendo da soli, c’è un vincolo, c’è un patto già definito, in un qualche modo chiuso. Che margine abbiamo? Possiamo assumere, domando, una nuova iniziativa politica? Non parlerò dei grandi problemi che ha posto Fassino, ce li abbiamo di fronte.
E’ giusto, è stato giusto richiamarli e nemmeno parlerò dei problemi che abbiamo nel Governo e nelle grandi cose che stiamo facendo per il nostro Paese.
C’è però una questione che mi sembra ancora irrisolta, il problema cioè delle nostre difficoltà che non sono date soltanto dai numeri ristretti che abbiamo al Senato ma dalle distanze politiche che a volte si manifestano nella coalizione.
Troppo spesso anzi per dire la verità si sostiene che con la nascita del cosiddetto nuovo Partito Democratico il Governo si rafforzerà e l’Unione pure. Può darsi. Ma non capisco. Già oggi il Governo è diretto da Romano Prodi che sarà il capo del nuovo Partito Democratico e i vice-premier sono D’Alema e Rutelli, favorevoli al progetto. Già oggi in Parlamento ci sono i gruppi dell’Ulivo.
Che cosa cambierebbe dunque? Ancor meno mi convince questa specie di ruolo d’ordine che verrebbe assegnato al Partito Democratico nell’Unione come forza riformista rispetto ad una sinistra radicale riottosa e bizzarra.
Pensiamo forse che fatto il Partito Democratico noi potremmo evitare le sortite di Rossi o di Turigliatto? O pensiamo di arginare dall’altra parte, mi scuserà l’amico Clemente Mastella, le sue incontinenze? O pensiamo forse di arginare le ossessioni dei teo-dem della Margherita?

Posto così secondo me il Partito Democratico rischia di accentuare non di attenuare le divisioni.Lo spirito penso sarebbe dovuto e dovrebbe, ancora oggi e nei prossimi mesi, essere un altro: non dare tutto per chiuso ma anzi cercare di riaprire. Chi ha detto e dove sta scritto che non si debba ripartire su basi nuove? Chi ci insegue? Perché non possiamo pensare di ricominciare, di riaprire il tavolo, di rivolgerci con un altro spirito allo SDI, ai Verdi, all’Italia dei Valori, ad altre forze, chiedendo ad essi con pari dignità e rispetto di riprendere, di ricominciare.
Non si darebbe così molto più di quanto accada oggi un carattere inclusivo e originale? Invece sul nuovo partito ci si accapiglia, fatemelo dire, sulle regole, su come si vota, sui leader, sulle sedi, sulle tessere. Non m’interessa niente. Non sono cose di grande fascino e nemmeno francamente penso che nell’affannosa ricerca dell’identità del nuovo Partito possiamo un giorno costruire un pantheon e ventiquattro ore dopo demolirlo.Non penso che si possa pensare una legge elettorale funzionale al nuovo Partito per cercare di dire agli altri ma voi vi dovete aggiungere comunque dovete starci dietro.
E non penso che sia accettabile. Non è accettabile che dopo che il Governo abbia varato la legge sui DICO subito dopo si organizzi una manifestazione contro quella stessa legge del Governo. Perché è questo il punto politico, non solo la difesa della famiglia che io difendo esattamente quanto coloro che promuovono quella manifestazione.

Troppa confusione, troppa confusione.
Per queste ragioni io penso che dovremmo allora cercare di unire le forze del riformismo italiano, unirle attorno ad un progetto nuovo condiviso di società con un orizzonte culturale ideale diverso. Ci misuriamo, è vero, con grandi e difficili problemi, il più rilevante dei quali, è, secondo me, la privatizzazione della politica, la riduzione del suo ruolo ad essere un’ancella subalterna un giorno dell’economia, un giorno della finanza a volte delle religioni.
Negli ultimi decenni del Novecento il neo-liberismo, il neo-conservatorismo hanno prodotto i guasti più profondi che vivono oggi le società contemporanee: l’anti-solidarismo come cultura politica ma anche come modello sociale segnato da individualismo esasperato, egoismo, antistatalismo, dall’indifferenza ai costi sociali delle ricette economiche, al diffondersi su scala mondiale di pulsioni belliche giungendo addirittura a sostenere in alcune sue componenti le guerre di civiltà, favorendo la distruzione dell’ambiente fino a produrre cambiamenti climatici che sconvolgono il mondo.
Neo-liberismo e neo-conservatorismo hanno prodotto questi danni. Per non tacere del male oscuro delle società moderne che colpisce i giovani. Negli Stati Uniti abbiamo visto a cadenze annuali le stragi nelle università, da noi, invece, a cadenza settimanale vediamo le stragi del sabato sera. Non so cosa sia peggio. Quel senso di fragilità e di violenza che travolge le nostre vite è il segno di un vuoto.
C’è una parte del popolo che è convinta che nessuno la difende più, che nessuno la rappresenta, che non gli dà voce, riscopriamo gli operai quando fischiano Mirafiori o quando muoiono nei cantieri. C’è una condizione di vita materiale che riguarda milioni di cittadini che è al limite dell’indigenza e della povertà e sono sempre gli stessi. Quale famiglia si può costruire un ragazzo o una ragazza che guadagnano mille euro al mese? Dicono che siano liberi, non è vero che sono liberi.

La nostra rischia di essere e di diventare come altre democrazie, una democrazia senza libertà e contemporaneamente si accumulano ricchezze immense, patrimoni enormi. Adesso può darsi che Telecom sia salvata anche da Berlusconi, non lo vedo come salvatore della patria. Il cosiddetto manifesto che sarebbe la base fondativa del nuovo Partito francamente non mi convince, per niente. Non convince il suo eclettismo culturale. Ma ciò che colpisce, come del resto è stato testualmente detto da Prodi, è che il PD con quel manifesto si colloca al centro delle forze riformiste progressiste, al centro. E’ una definizione precisa. Quel documento per quanto ci riguarda, e lo dico a nome della mozione, va rifatto tutto, di sana pianta.
Forse certe nostre critiche non sono state inutili se Piero Fassino nella sua relazione ha detto testualmente “bisognerebbe emendare il testo, raccogliere le integrazioni” e, così ha detto, “redigere un testo nuovo”.

Avanzo una proposta. Procediamo allora ad una radicale riscrittura di quel testo. Nella sua relazione però Piero ha anche detto un’altra cosa. Ha detto che alla fine della fase costituente si cercherà di coinvolgere altre forze riformiste. Bene ma non basta. La proposta formale che avanzo è che il dispositivo congressuale finale del nostro congresso e anche quello della Margherita approvino sostanzialmente una nuova proposta e cioè che quel testo, il manifesto fondativo del nuovo partito, sia redatto non solo da noi e dalla Margherita ma nella sua stesura siano chiamate tutte quelle forze del riformismo italiano alle quali la stessa relazione di Fassino ha fatto riferimento.

Allargando così, ben oltre i DS e la Margherita, quell’arco di forze chiamate a gettare le basi, a definire gli orizzonti ideali, a costruire quelle progettualità di cui il riformismo italiano, le sue culture, quella socialista ambientalista laica, è portatore. Questa sarebbe una nuova proposta politica e darebbe forza ideale, più passione partecipativa alla costruzione del nuovo partito e permetterebbe a tutte le diverse componenti di essere protagoniste di una nuova fase della vita democratica.

Se davvero non è tutto precostituito, se davvero si vuole lavorare ad un progetto inclusivo e non selettivo, se davvero si vuole ricominciare dando pari dignità ad ogni forza politica democratica rispettandone i caratteri e le peculiarità e soprattutto valorizzandone gli apporti, allora si abbia il coraggio di fare questo passo che non è un passo indietro, care Compagne e Compagni, ma al contrario è un passo avanti verso il perseguimento della costruzione di quel nuovo soggetto politico più largo, più grande, più ricco che già dal ’96 con l’Ulivo avevamo pensato.
Non è se ci pensate bene, una grande idea originale e questo lo dobbiamo fare prima dell’assemblea costituente, non dopo. Per quanto mi riguarda l’accantonamento di quel manifesto e la sua riscrittura che va anche intesa come ben oltre l’allargamento a forze della cultura e dell’intellettualità italiana, è una specie di condizione, se volete.
Mi rendo conto, naturalmente, non voglio darmi troppa importanza, del senso e del significato di questa affermazione. Tenete conto però che l’avanzo questa proposta a nome di tutta la mozione e che per noi ha un particolare significato.

Ecco vedete, care Compagne e Compagni, di quel testo, di quel manifesto e mi avvio verso la conclusione, però due questioni di fondo non mi convincono e non ci convincono. In quel manifesto c’è un difetto di innovazione, di apertura limitando il campo ideale e culturale e sono contenute, fatemelo dire, visioni vecchie della laicità e un giudizio inaccettabile sul ruolo storico e sul presente storico del socialismo democratico moderno.
Voi tutti, se guardate all’Europa, siete sicuri davvero che la sinistra d’ispirazione socialista abbia esaurito la sua funzione? Provate a cancellare e a togliere da tutti i paesi europei le forze d’ispirazione socialista, ma che cosa rimane per animare quelle democrazie, per dargli il senso di una novità e di una vita viva vissuta dalle persone, eppure in Italia solo in Italia è stato scritto il socialismo è morto. Con queste testuali parole si apriva questo autunno non solo un articolo ma un’impressionante campagna di stampa. Non si capiva bene se si parlava del socialismo di Lenin o di Nenni, di Blair o di Zapatero, il tribunale della storia aveva emesso questa sentenza, permettetemi di ricusare il giudice di quel tribunale.

Io penso che il valore d’uso delle idealità socialiste sia vivo anche oggi e non è vero siamo più modesti che alla nascita di un Partito Democratico così come si configura, non ci sarebbe alternativa. Cautela e modestia. Alternative credibili praticabili pronte, la pretesa che il Partito Democratico che si profila raccolga tutto, sia capace di rappresentare tutto, può rivelarsi una sorprendente illusione. A sinistra si lascia un vuoto, uno spazio, non ci si dovrebbe meravigliare se qualcuno cerca di riempirlo perché i singoli, i nomi contano e anche le passioni, anche i cuori.

La sfida dell’umanità e la sfida che abbiamo davanti in Europa chiedono soprattutto a noi un sussulto di razionalità. Io, care Compagne e Compagni, credo nel primato della ragione come valore guida dell’agire umano e penso alla laicità come principio indissolubile di democrazia. Sono intollerabili quelle disuguaglianze spaventose che viviamo nel nostro tempo e so bene che viviamo fenomeni che contribuiscono in maniera impressionante allo sviluppo di ansie collettive e quando per centinaia di milioni di uomini e donne la ricerca primaria del senso non si orienta più in misura sufficiente sulla politica cercando in esse le risposte ad un deficit di padronanza del proprio futuro allora possono mostrarsi nel pensiero laico, nella ragione i sintomi di un malessere. Il malessere cioè dovuto alla percezione che la storia sia sfuggita di mano.

Ci sono centinaia di esseri umani che pensano questo e pensare di consolidare la politica attraverso un credo religioso può essere qualcosa che può essere fatto, può diventare un fattore positivo ma si possono anche trovare in esse le risposte, esponendosi al rischio d’indebolire e di colpire il pluralismo, di ridurre la sfera di autonomia della scelta degli individui. So bene che la Chiesa cerca di rispondere alle ansie collettive riproponendo il suo dogma.
Ma cercare di affermare la superiorità di una morale, la sua, di fronte ad altre idee del nostro tempo che hanno origine nella tradizione illuministica, non perciò stesso possono essere considerate inferiori.

Io non credente non mi considero un immorale, né portatore di una morale inferiore. E quando avviene che le più alte gerarchie della Chiesa sollecitano cittadini italiani che esercitano funzioni pubbliche a rispondere e cito testualmente come medici, infermieri, personale amministrativo, giudici, insegnanti, parlamentari nell’esercizio delle funzioni pubbliche a rispettare prima di tutto i precetti dettati dal magistero che essi esercitano, siamo al limite della violazione di un articolo preciso della Costituzione repubblicana.
La Chiesa è libera ma anche lo Stato lo è e lo Stato è sovrano. Il laico cerca il dialogo con le religioni perché sa che esse contengono un messaggio di speranza e tendono ad una finalità umanistica. Per questo, care Compagne e Compagni, dico solo una parola. Noi non possiamo considerare da chiunque vengono pronunciate certe parole nei confronti di gay o di lesbiche, non sono persone innaturali, sono persone, sono cittadini liberi e uguali come in tutte le democrazie del mondo.

Un credente, disse una volta Bobbio, cerca ciò che ha già trovato, l’uomo di ragione più modestamente invece non trova neppure quello che ha più intensamente cercato.
Finisco.
Care Compagne e Compagni io penso che oggi nelle società moderne socialismo democratico e liberalismo moderno, come ha detto poco fa Giorgio Ruffolo, sono le frontiere più avanzate dalle quali possiamo attingere valori, idee, proposte, progetti, sogni per affrontare i temi cruciali del nostro tempo. Non mi si dica, però, non ditemelo, che la sinistra resta dentro di noi e che le idealità socialiste le abbiamo sempre nel cuore, ci credo, è così, ne sono convinto ma un partito politico è un pensiero compiuto, ha una sua identità e infatti si dà un nome, in questo caso Democratico e basta, né di sinistra né socialista.

Lo dico questo con grande pacatezza anche se, mi permettete, con altrettanto convincimento. Anche in Europa il nuovo spirito di libertà, secondo me, oggi dicono che sia in crisi. Non lo so. Può darsi, però lo spirito di libertà continua a chiamarsi socialismo democratico e liberale ed è lì nelle sue idealità che quel multiculturalismo che crea nuovi intrecci nuove osmosi, nuove finalità, nuove visioni della società, quel multiculturalismo che scioglie i suoi enigmi nel modo più semplice, cioè abbattendo gli steccati, i muri, le barriere, costruendo i ponti diventa una delle più grandi frontiere dell’innovazione a cui tutte le culture politiche sono chiamate.

Per questo io penso, care Compagne e Compagni che le idealità socialiste non sono quelle tombe raccolte in un cimitero in qualche angolo della vecchia Europa come si è cercato di far credere. Solo un accecato ideologismo può negare verità tanto stridenti. Penso che senza la sinistra non potrà nascere niente di buono e noi, così abbiamo scritto nella nostra mozione, non siamo disponibili a venir via dalla sinistra italiana e dal campo del socialismo europeo. Attenderemo le conclusioni dei congressi dei DS e della Margherita, poi decideremo ciascuno naturalmente, per sé stesso e nella propria libertà.Un ultima finale considerazione personale.

Io penso che ad un partito si aderisca come farà ciascuno di voi, per profondo convincimento personale. La politica per qualcuno, almeno per me, è ancora così: una scelta individuale. La politica la si fa e la si pratica, per essa ci si batte, si soffre, si gioisce, si vince e si perde se la si sente come propria, se la si vive come parte di sé, magari non tutta intera, ma in larga misura si. Un partito è sempre espressione di una parzialità ma la sua politica è un pensiero, un movimento di idee, un’intelligenza collettiva, è partecipazione attiva per decisioni che si prendono, mi fa un po’ sorridere lo slogan di adesso “una testa un voto” metteteci anche il cuore che conta molto. In un partito si può essere anche un’infima minoranza ma se ne deve condividere il nucleo essenziale di idee che ne sono a fondamento, la sua ragion d’essere, non si può essere tollerati o percepiti come una bizzarra diversità, come l’espressione di un pensiero morto, come prodotto di una sconfitta storica o di una perniciosità del futuro.

Mi auguro che questo non avvenga. C’è ancora un fine della storia.
Nel secolo scorso si tentava d’indirizzarla questa storia verso il progresso oppure verso le società senza classi oppure verso il regno della libertà. Ora nella storia presente sembrano prevalere i destini personali, percorsi individuali soprattutto nelle democrazie occidentali ma anche qui in Italia, nel nostro paese, e sembrano da soli dare senso all’esistenza umana. Si sta in questi ambiti ma così la storia può fermarsi e questo perché la politica accetta o addirittura rifiuta di dare un senso collettivo di sé cioè comune alla vita delle persone.
Possono nascere fortune, ricchezze, carriere in questa chiusura individualistica ma possono anche insorgere rassegnazione, solitudine e indifferenza allora forse la storia cioè i fini bisogna proiettarli nel futuro, chiamando nuovi protagonisti, nuove generazioni, quelle ragazze e quei ragazzi che qui compongono questa platea e costruirlo loro, indurli a costruirlo loro il loro futuro, con le loro menti, con i loro cuori, dare a loro lo spazio necessario, il ruolo che gli compete, il compito che gli attende.
Forse è questa, care Compagne e Compagni, la più alta missione della politica qui e ora in Italia. Grazie.

Intervento di Fabio Mussi al IV° Congresso Nazionale dei DS

Care compagne, cari compagni,

Giorni fa il Presidente del Partito, Massimo D'Alema ha detto: "spero che Mussi ci risparmi i commiati drammatici". Seguirò il suo consiglio. Ma credo - dopo 40 anni dedicati a questo partito, avendo attraversato, credo con coraggio, tutte le sue profonde trasformazioni - di avere diritto di parola. Anzi, il dovere di parlare, prima di tutto a voi. I delegati della Mozione "A Sinistra. Per il Socialismo Europeo", 242, si sono riuniti, hanno discusso, hanno votato. Un voto quasi unanime, con una astensione. Le cose che dirò, rappresentano anche loro.

Il mio, il nostro dissenso data dal 2001, dal congresso di Pesaro quando candidammo Giovanni Berlinguer alla segreteria del Partito. E io voglio tornare a ringraziarlo, per la forza, la passione, il rigore con cui continua a combattere la sua battaglia delle idee.Abbiamo espresso il dissenso senza mai provocare rotture, dando sempre un contributo leale alle comuni battaglie. Senza mai disperdere non solo il senso di una solidarietà politica, ma anche il sentimento di amicizia verso Piero Fassino e tutti gli altri compagni ai quali siamo legati da una lunga comune militanza nella sinistra e dalla coscienza di un dovere verso l'Italia.
A Pesaro non condividemmo la risposta alla sconfitta elettorale del 2001, una ispirazione "riformista" vicina alla terza via di Blair e di Giddens (una "terza via" che si è persa nell'avventura della guerra irachena). Ora se ne propone una quarta: la fine, nel nostro Paese, unico in Europa, della presenza di una autonoma forza di sinistra di ispirazione socialista. E non è vero che siamo di fronte ad una pura trasformazione delle forme, ad un'altra metamorfosi della sinistra: con il Partito Democratico, l'asse del centrosinistra, e dunque della politica italiana, sarà inesorabilmente più spostato al centro.


I DS si sciolgono. Quando sollevammo il dubbio, all'ultimo recente Congresso di Roma:" Ma questa storia, finisce in un "partito unico"? Ci si rispose che era un malevole processo alle intenzioni. Ecco, invece ci siamo.
Non metto in discussione il valore della politica unitaria. Questa è essenziale per governare il Paese. Noi siamo stati, tutti, e dovremo essere sempre, l'anima della coalizione democratica. Metto però in discussione la natura ed caratteri dei partiti politici, che si muovono su tempi più lunghi di quelli di una legislatura. Sono i partiti che fanno i governi, non i governi che fanno i partiti. E i partiti vivono anche nelle sconfitte, non sono fatti solo per la vittoria. E sono soggetti identitari, non solo programmatici. Quando qualcuno ti chiede: "chi siete?", non basta rispondere :"siamo tanti".


Sono stato tra i protagonisti della svolta dell'89, quando ricollocammo storicamente il più grande partito della sinistra italiana. Eravamo un gruppo di giovani, segretario Achille Occhetto, che si prese la responsabilità di sciogliere il PCI, allora al 27% dei voti e 800.000 iscritti, perché pensammo che fosse un dovere - politico, intellettuale, morale - fare i conti con la caduta del movimento comunista internazionale, di cui pure il PCI era stato una straordinaria variante nazionale, partito eretico a forte vocazione democratica e socialista.
Questa svolta, non è in continuità con quella. Guardiamoci dal cattivo storicismo, quel modo di pensare provvidenzialistico, per cui ciò che viene dopo è tutto contenuto in ciò che viene prima. Al contrario, penso che questa svolta sia figlia di un fallimento, fallimento che sento anche mio. Penso che essa rappresenti il tentativo, sbagliato, di rispondere al problema che fra gli altri ha posto chiaramente un nostro amico, Eugenio Scalfari, quando giorni fa ha scritto che anche il nostro partito "è arrivato al capolinea, ha perso ruolo e rappresentanza. Con una dimensione quantitativa inadeguata alla società di massa, una dimensione qualitativa e culturale povera".Non mi si dica che, se si cerca il legame tra passato e presente, si parla di cose incomprensibili a chi avrà 20 anni nel 2010.


I giovani ci portano mondi nuovi, e noi dobbiamo sempre esortarli alla storia: a ricostruire incessantemente la memoria collettiva, conoscere le radici, comprendere i risultati dei processi storici, e i "sentieri interrotti", le cose che avrebbero potuto essere e non sono state. Cancellare le tracce, è diseducativo. Quando il Moderno si presenta come "il nuovo" assoluto, in verità è già decrepito.
Ora il nostro primo dovere è governare. Corrispondere alle aspettative di chi ci ha votato, non solo per liberarsi da Berlusconi, ma perché vuole un'Italia più pulita, più giusta, più colta, più efficiente. Un'Italia consapevole della propria missione verso l'Europa e verso il resto del mondo. Non è facile, sul filo del rasoio di un soffio di seggi al Senato, e di un soffio di voti di elettori alla Camera. Insomma, dato il risicatissimo risultato delle elezioni politiche 2006, un "sostanziale pareggio", come ha detto giustamente il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.Il Governo sta risanando i conti pubblici, un obiettivo ineludibile. E sta avviando un piano di riforme. Sentiamo tutti che occorre dare più forza al Governo, ricaricare di energia il nostro progetto per l'Italia.


L'Italia ha enormi possibilità, ed è un Paese dove è bello vivere. E' anche un Paese dove sono esplose le diseguaglianze. Un Paese ricco, ma che vede i salari più bassi d'Europa, dove si lavora in pochi, e poche sono in particolare le donne che lavorano; dove la condizione fondamentale dei giovani è la precarietà, non figlia della tecnica, ma di un ritorno di condizioni servili nella società contemporanea; dove si muore di lavoro; dove proprietà e ricchezza si sono sempre più concentrate nelle mani di una minoranza; dove la "questione morale" torna a dilagare in ogni campo della vita civile, economica e politica (e non esiste nuova buona politica che non abbia la "questione morale" come sua stella polare: forse conviene tenersi stretto questo pensiero di Enrico Berlinguer, piuttosto che giocare a metterlo e toglierlo dal Pantheon). Il nostro è un Paese dove la qualità dei sistemi (servizi, formazione, ricerca, tecnologia), perde terreno. E non c'è futuro, con uno sviluppo senza ricerca e innovazione. Per questo servono risorse e riforme. Risorse, molte di più di quelle che siamo stati in grado di mettere quest'anno in finanziaria per la scuola, l'Università, la scienza, se non si vuole restare ultimi in Europa. Il prossimo anno non si può fare il bis. E riforme, orientate alla qualità e al merito. Al merito.


Il valore dello studio e della serietà l'ho imparato nella mia casa di operai: il merito non è l'invenzione dei ricchi per escludere i poveri, è la carta che hanno in mano i poveri per non essere esclusi. E' una frase a cui sono affezionato, e mi ha fatto piacere ritrovarla nella relazione di Fassino. Ho tentato, in questi mesi, di non dimenticarlo. Il responsabile per l'Università della Margherita mi ha accusato di "demagogia della serietà". Che cosa vuol dire? Forse vuol dire che esagero con la serietà. Bene, lo prendo come un complimento.C'è da fare tanto. Il Governo è quello di Romano Prodi. Lo spazio politico della maggioranza è l'Unione. Penso che sia essenziale, qualunque cosa accada sul terreno più propriamente politico, garantire tenuta della maggioranza di centrosinistra e stabilità del Governo. Tra di noi deve esserci comunque questo patto di ferro.Governiamo uno dei Paesi più importanti del mondo. Pensavo che ci fosse abbastanza da fare, senza gettarci in imprese azzardate come quella di sciogliere partiti e farne di nuovi a pochi mesi dalla formazione dell'esecutivo, nell'illusione di pescare la soluzione magica, la nuova indiscussa guida, il timone, la "cabina di regia" della coalizione e del Governo.


La formazione del partito democratico in verità complica il quadro, non lo semplifica - anche solo a voler tenere il livello delle dottrine politologiche e funzionalistiche da cui ha preso le mosse.Governiamo uno dei Paesi più importanti del mondo. E il mondo cambia velocemente. Quante profezie durate una breve stagione! La profezia della fine della storia, della fine del lavoro, del trionfo del mercato senza vincoli, senza regole, senza frontiere.La globalizzazione ha subìto nell'ultimo quarto di secolo una bruciante accelerazione. Gli effetti sono misurabili. Sono misurabili i progressi, e le contraddizioni, e le nuove diseguaglianze. Sono misurabili le "promesse infrante", a partire da quella della pace, se i nuovi venti di violenza e di guerra scuotono tanto drammaticamente l'umanità, alle soglie del nuovo millennio.
Le ricette pragmatiche sono acqua fresca. Bisogna fare uno sforzo di andare più al fondo delle cose.Le classi medie sono certamente cresciute, ma mai come ora nella storia dell'umanità si era presentato tanto esteso il lavoro dipendente e salariato e il lavoro intellettuale venduto e comprato ai prezzi di quello salariato. Il lavoro è stato svalorizzato su scala globale. Mai come ora dunque è stato strategico il bisogno di rappresentare, sindacalmente e politicamente, il lavoro, in tutte le sue forme e in tutti i continenti.Mai l'umanità ha dovuto fronteggiare gli effetti potenzialmente catastrofici delle sue attività economiche. Crescono popolazione e consumi, e il ciclo dei rifiuti (in particolare i gas serra) non si chiude. Il Quarto Rapporto sui cambiamenti climatici ci restituisce un quadro sempre più allarmante. Il tempo di radicali cambiamenti - economici, sociali, tecnologici - stringe assolutamente. Altrimenti si rischia di veder degradato irreversibilmente l'ambiente e, con gli eserciti dell'ultima guerra per il petrolio, di combattere la prima guerra per l'acqua.


Non siamo certo in grado di pensare un'economia senza mercato. Ma il mercato da solo non risolverà i problemi dell'umanità. Non valorizzerà il lavoro, non farà le scelte tecnologiche appropriate, non si autoriformerà su principi ecologici. Per questo torna, torna in grande il tema delle scelte collettive consapevoli. Il tema del Governo e della politica. Il tema di un nuovo socialismo. La profezia della "fine del socialismo" si presenta come un'altra di quelle all'ultimo grido, ed è invece una cianfrusaglia ideologica.Torna il tema di una nuova politica che dia una risposta non solo alle questioni pratiche, ma al bisogno inestinguibile di senso e di identità. Che viene sempre più affidato - quando non alla pura merce - all'etnia, alla nazione, alla religione. Non scaturisce da qui quella crisi dei partiti e della democrazia moderna, che ha allontanato così tanto le masse dalle istituzioni pubbliche? Sono questioni di fondo, di lungo periodo, che richiedono "pensieri lunghi".

E noi, noi dove vogliamo portare la sinistra italiana? Qui, condividiamo tutti la necessità di una strategia unitaria. Non è questo che ci divide. L'Italia si governa con il centrosinistra, con una larga alleanza democratica. Quell'alleanza di cui l'Ulivo è stato il cuore, la scelta decisiva del riscatto democratico, dopo l'apparire dell'inedita destra populistico-plebiscitaria di Berlusconi (che sarebbe magari bene non allargasse ulteriormente la sua posizione di controllo nel campo dei media e delle telecomunicazioni, e la possibilità di farla fruttare politicamente: la lotta per affermare il principio di legalità, e una legge seria sul conflitto di interessi sono urgenti).


L'Ulivo raccolse nel '96, nel maggioritario, il 44% dei voti: rappresentava quasi tutto il centrosinistra. Nel 2006 ha raccolto il 31% e, con l'ultima uscita, quella dello Sdi, che pure aveva partecipato alla "Federazione riformista", comprendeva DS e Margherita. Così drasticamente ridotto, se ne vuol fare un partito.L'ultima volta che ho votato una mozione di maggioranza, al congresso di Torino, si titolava : "Una grande sinistra in un grande Ulivo". Sarà certamente un limite mio, ma io sono rimasto lì.Con i congressi paralleli in corso, DS e Margherita cessano una loro autonoma vita. Diventano comitati promotori del Partito Democratico. Chi partecipa, i prossimi mesi non avrà altro da fare che questo. L'appuntamento, prima fissato al 2009, è stato anticipato di un anno. Si accelera. Sul Congresso della Margherita, leggo di giudizi severissimi di molti suoi esponenti di primo piano. Per quanto riguarda i DS, non discuto della legittimità della proposta di Fassino, che si presenta con il sostegno del 75% degli iscritti (anche se mi permetto di ricordare che dunque uno su quattro è contrario o fortemente critico). Penso che si stia commettendo, sia pure a larga maggioranza, un errore di vasta portata. Penso che si stia imboccando una strada che porta la sinistra non a rinnovarsi, come pure è radicalmente necessario, ma a perdersi. "Sinistra", non è un bagaglio appresso che i dirigenti si portano dietro. Sono valori, programma fondamentale, identità. La retorica dell'"oltre" - oltre i partiti, oltre le tradizioni, oltre il socialismo - non dice nulla, se non è, chiaro dove si va.

Vedo che si chiede a noi, della minoranza: "dove andate?". Io chiedo a voi, compagni della maggioranza: "dove andate, esattamente?". Si apre la Costituente del Partito Democratico. Al buio. La piattaforma è costituita da un Manifesto: debole, pasticciato, confuso. Non so se la "fusione" in corso sia calda o fredda: se il risultato è quel Manifesto, la fusione è al momento fallita. L'unica cosa chiara è il riferimento al Cristianesimo. Fondamentale componente della cultura universale, non c'è dubbio. Ma un principio religioso non può costituire il fondamento costituzionale né di uno Stato, né di un'Unione di Stati come l'Europa, né di un partito politico moderno.Precipitiamo verso il Partito Democratico senza aver chiarito niente.Non certo la collocazione internazionale. I nomi sono potenti. Questo nuovo partito si chiama come quello americano e, in Europa, come quello del centrista francese François Bayrou. Sarà, centrista e americano, "Con un rapporto forte e strutturato con il PSE" - ha detto Fassino - Una formula aperta a diversi esiti, salvo uno: è evidente che non potrà far parte del PSE. Lo capiscono tutti.


Il sostegno opposto di DS e Margherita ai due candidati concorrenti alle presidenziali francesi (Royal e Bayrou) è solo un antipasto di ciò che ci aspetta. D'altronde Rutelli (che rispetto, e con cui collaboro volentieri nel Governo) è stato chiaro: nel Parlamento europeo, ognuno resta ai suoi posti fino al 2009, poi nascerà un nuovo raggruppamento politico nazional-democratico. Non stiamo parlando di diplomazia internazionale: stiamo parlando delle appartenenze alle grandi famiglie politiche che esistono in Europa e nel mondo. Stiamo parlando della nostra identità in Italia. Temo che con il Partito Democratico condanneremo di nuovo l'Italia a rappresentare in Europa un "caso". Torna l'"eccezionalismo", dal quale abbiamo faticosamente tentato di liberare il nostro Paese, che ne è afflitto fin dalla costituzione dello Stato nazionale.

Non abbiamo chiarito niente di ciò che è essenziale. I grandi temi - lavoro, sapere, ambiente, questione morale e riforma della politica - galleggiano con insostenibile leggerezza nel dibattito politico sul Partito Democratico. Sul sindacato non si dice parola, o si dicono parole sbagliate. Altri temi sono immersi nella più grande confusione. Per esempio il tema della laicità. Il Governo ha proposto la legge sui "Diritti dei conviventi" - il minimo per chi abita in questa parte del mondo. C'è, tra i costruttori del PD, chi ha partecipato a manifestazioni di sostegno ai Dico, e chi parteciperà al "family day" : non ho l'impressione che siano la stessa cosa. Ci sono, nello spazio del PD, voci assolutamente dissonanti anche rispetto a fenomeni intollerabili come l'onda ritornante di fobia verso gli omosessuali. Laicità è lo spazio della libertà di tutti. Non ce n'è una "sana" e una "insana", come ritiene Papa Ratzinger. C'è semplicemente quella di uno Stato che garantisce che possano ben esserci nella società idee e modi di vita egemoni, proprio perché non esistono punti di vista che una qualche autorità impone come dominanti, e obbligatori per tutti.Da questo dipende l'autodeterminazione degli individui, il libero movimento delle forme della vita civile, la libertà della cultura, dell'arte, della scienza (e bisogna tornare a difendere la scienza, se è vero che, non ancora concluso l'appello per il processo a Galilei, si apre quello a Darwin). La stessa libertà religiosa, che è uno dei pilastri della libertà senza aggettivi, è durevolmente garantita solo dal principio di laicità. L'unico antidoto alla barbarie dei conflitti di civiltà e alle guerre di religione. Per questo la laicità dello Stato è un principio non negoziabile, che sta al fondo della politica moderna. Le mezze soluzioni, sono soluzioni gravemente sbagliate.Persino sulla legge elettorale, il campo del Partito Democratico è diviso in tre: quelli del proporzionale corretto, quelli del neomaggioritario di collegio, quelli del referendum - nonostante che il referendum come è noto sia una spada di Damocle appesa sulla testa del Governo.


Date queste condizioni politiche, non è sorprendente che via via l'attenzione si sia andata concentrando sulle questioni di leadership. Fino alle tensioni esasperate di questi giorni. Questa è la domanda che imperversa. Chi? Chi prenderà il comando? Chi guiderà il Partito Democratico? Chi deciderà?Decideranno gli iscritti, o i cittadini delle primarie? Una "testa un voto"? Si vota nei gazebo? Ed ecco, come in una matrioska, che dalla discussione sulla legge elettorale per il Parlamento fa capolino quella per le primarie della Costituente del nuovo partito. Mi permetto di ricordare che, centrale, nel pensiero democratico e socialista italiano, è il tema del rinnovamento delle classi dirigenti. Plurale. Sempre più spesso invece ho sentito in questi anni abusare del singolare: "la classe dirigente". Si tratta di un'altra teoria, quella della "circolazione delle élites": Pareto, non Gramsci. Una teoria non nuova, che si sposa felicemente con la più recente tendenza alla estrema personalizzazione della politica, sempre più innervata di potere, denaro e televisione.

Comunque, il fatto è che non riesco a rassegnarmi. Non riesco a rassegnarmi all'idea che il destino della sinistra italiana possa ridursi a questo: una rete di correnti superpersonalizzate dentro un partito che ammaina i simboli stessi della sinistra e del socialismo, e poi una galassia di partiti più piccoli, verdi, socialisti, comunisti, di sinistra cosiddetta "radicale".E' una storia grande e drammatica, quella della sinistra italiana del Novecento. Molte delle conquiste sociali e civili si devono a lei. E ora si sono messi in moto due movimenti contraddittori: da un lato, per la prima volta, dai primissimi anni della Repubblica, tutta la sinistra è al governo insieme; dall'altro, nasce il Partito Democratico, che perpetua la separazione, sempre più artificiale, tra "riformisti" e "radicali".


Confermo qui - non con animo leggero - l'indisponibilità della minoranza che rappresento a partecipare alla Costituente del Partito Democratico. E' vero che anche nei DS ci sono le correnti: a questo Congresso tre. Nel PD ce ne saranno trentatre: non si sentirà la nostra mancanza.
Noi ci fermiamo qui.Non ci si formano idee sui sondaggi, certo. Tuttavia ho l'impressione che il Partito Democratico non recupererà tutto, o quasi tutto, lo spazio del centrosinistra. Ci sarà una parte grande della società italiana, che guarda a sinistra, che non si sentirà rappresentata. Una parte essenziale per fare, oggi e domani, maggioranza e governo. Molte forze si sono messe in cammino. La nostra intenzione è di costituire un movimento politico autonomo, che si propone di aprire un processo politico nuovo, più a sinistra del Partito Democratico. Non un altro piccolo partito. Ma un progetto volto a riunificare forze. A mantenere viva la prospettiva di una forza di sinistra di ispirazione socialista. Laica e di governo. Del lavoro, dei diritti, delle libertà femminili, dell'ambientalismo, aperta alle nuove culture e alle sfide di questo secolo. Alleata del Partito Democratico.

Lo so che è un'impresa difficile. Ma anche la vostra non sarà facile. Per quanto mi riguarda, abbiamo maturato, insieme ai compagni che hanno sostenuto la mozione "A sinistra. Per il socialismo europeo", una convinzione profonda, e sentiamo il dovere di provarci. Si aprono due fasi costituenti. Sarebbe bello un doppio successo.


Buona fortuna, compagni.