lunedì 25 giugno 2007

Non siamo ministri estremisti

Intervista a Fabio Mussi pubblicata da L'Unità il 24 giugno 2007
Non siamo ministri estremisti

«È impressionante che si definiscano estremisti quattro ministri che chiedono al proprio governo di rispettare il programma».

Fabio Mussi giudica «a dir poco sorprendenti» le reazioni alla lettera che insieme ai ministri Ferrero, Pecoraro Scanio e Bianchi ha inviato venerdì al presidente del Consiglio. «Qualche commentatore ci ha definito irriducibili, termine utilizzato per le Br», scuote la testa il ministro per l’Università e la Ricerca. «E questo perché chiediamo di conoscere il Dpef prima di votarlo? Perché richiamiamo l’attenzione su punti essenziali di una piattaforma costruita non nel covo dei soviet ma nella Fabbrica del programma di Prodi?».


La lettera inviata al premier ha suscitato diverse reazioni critiche. Se l’aspettava, ministro Mussi?

«E perché avrei dovuto? Abbiamo richiamato il governo alla coerenza con il suo programma. A cominciare dall’abolizione dello scalone e dal superamento della legge trenta. La lettera ha contenuti chiari. Parte dall’ennesimo intoppo che c’è stato nella trattativa sulle pensioni tra governo e parti sociali. Una trattativa che ha prodotto risultati, ma che ora sta andando avanti con cifre che ballano e con il metodo delle docce scozzesi. Servono cifre chiare e la determinazione del governo a raggiungere l’accordo».


C’è però chi vi ha definito “irriducibili”.

«Sì, termine usato per le Br. E il fatto che siano giornali diciamo democratici a farlo è sorprendente. Se abbiamo sentito l’esigenza di scrivere questa lettera è perché siamo preoccupati che in una situazione politica difficile come quella attuale la trattativa con le parti sociali possa andare in fumo. E questo sarebbe un guaio grandissimo per il governo, che è di fronte all’esigenza di un rilancio».

Nella lettera si parla anche di Dpef, e il portavoce del governo Sircana ha richiamato al “rispetto delle prerogative di ciascun ministro”.

«Bene. Ma a parte che la Costituzione prevede il principio di collegialità nel governo, cioè che siamo tutti responsabili di ogni provvedimento dell’esecutivo, è proprio per quello che dice Sircana che voglio sapere cosa prevede il Dpef su ricerca e università. Siccome ho una responsabilità, devo essere messo in grado di esercitarla. E quindi devo sapere qual è il documento fondamentale su cui il governo orienterà le sue politiche economiche. Siccome siamo a cinque giorni dal Consiglio dei ministri che si occuperà del Dpef, vorremmo vederlo prima per poterlo valutare, discuterlo e poi approvarlo. Non si può fare il bis dell’anno scorso, quando il testo ci venne dato a poche ore dall’inizio del Cdm».


Il ministro Turco vi obietta che simili discussioni si devono affrontare appunto nel Consiglio dei ministri, non con lettere pubbliche.

«Ma qualcuno crede che queste questioni non siano state sollevate nei precedenti Cdm? Crede che non abbiamo già discusso del livello di informazione con cui a volte passiamo alle decisioni? La questione è stata sollevata, più volte direttamente col presidente del Consiglio. Questa volta abbiamo compiuto un atto politico per vedere se la situazione migliora»


Così però si dà un colpo all’immagine del governo, si rischia di indebolirlo.

«Non capisco perché. Noi vogliamo rafforzarlo. Penso che non ci siano alternative a questo governo. Che sia il punto di equilibrio politico più avanzato. Ma bisogna farlo funzionare. Dobbiamo chiamare a raccolta le forze, coinvolgere, lavorare sulle idee. C’è un problema di rilancio, lo vedono tutti. Le amministrative sono state non un campanello ma un campanone d’allarme. Un certo malumore nei nostri confronti può essere connesso al fatto di governare, però forse ora ha superato la misura. C’era chi diceva “molti nemici molto onore”. Ma “tutti nemici” non si può, scontentare tutti non si può».


Epifani ha detto all’Unità che sente aria da 1919, che vede gli industriali come novelli agrari di allora, che guarda con preoccupazione alla sollecitazione degli istinti più bassi.

«È un allarme forte quello di Epifani. È una persona riflessiva e attenta a ciò che dice. Non ha sparato a caso. Il suo è un allarme che coglie un punto. E che condivido. L’ultima uscita di Montezemolo è inquietante. Non può essergli scappata. E se gli è scappata è freudiano. La sua è stata una doppia battuta. La prima, tremenda e intollerabile, è che i sindacati rappresentano i fannulloni. Un insulto ai lavoratori italiani, una cosa che il presidente di Confindustria non può né dire né pensare. L’altra battuta è che rappresenta più lui i lavoratori dei sindacati, quando è uno degli elementi della vita democratica la capacità dei grandi sindacati confederali di rappresentare il lavoro. Anche questa battuta ha un sapore politico. È l’idea di un blocco proprietario che attrae i consensi popolari. Oggi c’è una sommossa dei ricchi e il disincanto dei poveri. E Montezemolo suona la carica».


Come giudica la candidatura di Veltroni a segretario del Pd?

«Una buona notizia. Il Pd stava andando a infrangersi fragorosamente. Con Veltroni c’è la possibilità di un esito più solido. Dopodiché, non è che cambia il mio giudizio su carattere e natura dell’operazione Pd. Il dissenso resta».


E allora perché una buona notizia?

«Un Pd che galleggia al 20% e una sinistra frammentata sarebbe un disastro. Ho concluso il mio intervento al congresso dei Ds dicendo buona fortuna, speriamo che tutti e due i progetti, quello del Pd e quello dell’unificazione della sinistra, abbiano successo, perché in questo modo è ragionevole immaginare le coalizioni del futuro in un quadro bipolare e non trasformistico. Continuo a pensarla così, e penso che Veltroni sia un interlocutore migliore di altri».

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