sabato 14 luglio 2007

Ridurre le emissioni nel mio giardino

Non c’è un ambientalismo di tutti si, c’è un ambientalismo di si e di no, può esserci un ambientalismo critico, colto, di sinistra. Siamo partiti di qui per avviare un percorso unitario a sinistra sulle politiche ambientali.
Ora abbiamo predisposto un breve documento, ci impegniamo ad iniziative comuni, coordineremo il lavoro parlamentare, convocheremo a settembre una assemblea dedicata alla manovra finanziaria 2008.
Già i Verdi avevano proposto a maggio un Patto, scritto da Angelo Bonelli con argomenti condivisibili, sostenuto da un significativo gruppo di autorevoli personalità (da Rodotà a Petrini, da Rubbia a Rifkin), subito assunto da Mussi (alla manifestazione di Genova con il ministro Pecoraro), da Rifondazione, dalle altre forze politiche della sinistra.
Sul clima il patto deve essere largo, non si può guardare molto per il sottile. Il prossimo presidente americano, repubblicano o democratico che sia (meglio democratico ovviamente), cambierà rispetto all’attuazione e alla prosecuzione del protocollo di Kyoto. Ormai spingono interessi economici e opinione pubblica, nella stessa direzione (il successo di Live Earth lo conferma): nessuno al mondo può fare a meno di coalizzarsi per ridurre le emissioni di gas serra il prima possibile quanto più possibile.
Differenze possono e debbono esserci nel merito delle politiche coerenti con la mitigazione: le politiche energetiche (nucleare no o si, petrolio e carbone nella transizione, rinnovabili sulla filiera corta e partecipata), i trasporti su scala continentale e locale, l’aiuto allo sviluppo sostenibile e all’adattamento dell’Africa, l’acqua come bene comune o come merce sociale, la gestione pacifica dei conflitti in sede ONU.
E una sinistra del futuro non può che basarsi sulla consapevolezza e sulla gestione dei cambiamenti climatici. Consumiamo più materia ed energia di quanto il sistema terra non riesca a innovare.
Le attuali previsioni di crescita dei singoli paesi sono insostenibili, insicure, inique per il pianeta. Va contestata l’idea stessa di misurare lo sviluppo di un paese dalla crescita della ricchezza e del prodotto interno lordo. Affermiamo con nettezza che ci sono prodotti e consumi che devono crescere, ci sono prodotti e consumi che devono decrescere.
Ci sono interessi che devono essere garantiti come diritti, ci sono interessi che devono essere limitati e mediati. L’indice da assumere deve essere quello dello sviluppo umano equo e diffuso e della salvaguardia ambientale.
Noi del movimento della Sinistra Democratica lo abbiamo scritto chiaramente prima nella mozione per l’ultimo congresso DS, poi nei documenti e nelle relazioni fondativi. Abbiamo discusso con Rifondazione, Verdi, Comunisti italiani e Socialisti democratici, è un percorso che possiamo fare insieme, alleati e paralleli con il Partito Democratico.
Giudichiamo positivamente il percorso avviato nel DPEF, particolarmente in merito alla sostenibilità ecologica e alla contabilità ambientale delle scelte economico-finanziarie, merito anche della tempestiva efficace sollecitazione unitaria dei ministri per il rispetto del programma dell’Unione in materia previdenziale.
Permangono invece criticità e riserve sul piano delle infrastrutture allegato al DPEF, dove non si cita mai Kyoto, di fatto si assegna priorità alle autostrade, non si investe in metro e ferrovie.
Il DPEF può essere tradotto e precisato in una Finanziaria per il clima, quell’allegato va considerato contraddittorio e riscritto dalle commissioni parlamentari sulla base del programma dell’Unione che impegna alla “modifica profonda” della legge obiettivo di Berlusconi-Lunardi.
Ci sono procedure che vanno semplificate, ci sono tempi che possono essere concertati, ci sono passaggi di consultazione (anche referendaria, chiarendo bene l’abitante di quale giardino vota, su cosa, in quale sosta del percorso) che possono essere previsti.
Suggerisco di adottare il principio “anche nel mio giardino”, un principio di responsabilità critica: ridurre le emissioni a casa propria, nel proprio comune, nel proprio governo (modificando la propria vita, non comprando quelle degli altri); proporre impianti sostenibili nel proprio territorio (comparando impianti e fonti, non escludendo ogni impatto); ottenere un bel mix di gesti individuali, scelte collettive e private, politiche governative.
Pensare la politica del clima come incontro tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa.
Pensare la politica energetica e trasportistica come modello “spalmato” sul territorio a partire dalla Torino-Lione: si al rafforzamento ferroviario, si all’aumento di potenzialità delle linee esistenti, si al protagonismo scientifico delle popolazioni locali.

Valerio Calzolaio

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