giovedì 10 maggio 2007

Intervento di Massimo L. Salvatori - Roma, 5 maggio 2007

Per una forza politica nuova rispondere agli interrogativi e ai problemi posti dalla sua collocazione nello scacchiere nazionale e dal come muoversi in essa è di primaria importanza.
Ma deve essere al tempo stesso chiaro che il volto di una forza politica, nel mondo della globalizzazione economica, della politica internazionale dominata dai grandi soggetti tra i quali si colloca l’Unione Europea di cui siamo parte, è delineato anzittutto dal rapporto in cui si pone con le grandi vicende che hanno cambiato la storia e che oggi determinano l’abc delle culture politiche e a seconda dei luoghi nei quali si colloca nella mappa degli schieramenti sopranazionali.
Si tratta del detto “Dimmi con chi vai e come, e ti dirò chi sei e dove vai”.

Quella che fino a ieri era la sinistra Ds non è salita sulla nave del Partito democratico.
Non ha compiuto questo passo in nome di una sinistra ancorata ai valori e alle finalità del socialismo democratico, decisa a tutelare una laicità dello Stato continuamente aggredita e troppo spesso negata, animata dalla volontà di difendere gli interessi dei lavoratori in un quadro socio-economico che vede aumentare le vecchie e nuove disuguaglianze, determinata a restare nel seno del Partito socialista europeo.
Ha fatto questa scelta, inoltre, perché intende opporsi ad una deriva centrista del sistema politico cercando opportune intese con le altre correnti della sinistra.
Tutti questi sono obiettivi forti e giusti, ma vanno perseguiti nella chiarezza, senza cui la sinistra che si colloca a sinistra del Partito democratico – al quale si rimprovera una operazione di assemblaggio che persegue un’unità tra componenti diverse e contraddittorie – rischia, io credo, di riproporre un analogo equivoco.
Pensare di usare genericamente la categoria “sinistra” per trovare un collante che faccia da controaltare a quello offerto al Partito democratico dalla categoria del “riformismo” equivale a compiere una operazione per certi versi analoga.
Si tratta invece di delineare con coerenza il volto della sinistra che si intende essere.
Dunque: quale sinistra?

Per rispondere a questo interrogativo occorre dare un giudizio e tirare le conseguenze che ne derivano su una serie di dati di fatto prodotti dalle grandi vicende storiche a cui accennavo.
Il primo è il lascito catastrofico del socialismo reale attuato dai regimi comunisti, che non solo ha favorito immensamente l’offensiva neoliberista e neoconservatrice ma ha altresì reso difficile e persino delegittimato agli occhi di vasti strati sociali che pure ne sono vittime la critica teorica e la mobilitazione politica e sociale contro di esso.

Il secondo è il ridursi del neocomunismo, là dove questo sopravvive, ad una forma di veicolo di reali disagi sociali la quale si manifesta mediante un discorso essenzialmente retorico.

Il terzo dato è che l’Internazionale socialista e il Partito socialista europeo, che pure costituiscono un’imponente forza organizzata, stentano a darsi una teoria critica del dominio delle plutocrazie capitalistiche e dare alla pratica riformistica – nella mia opinione l’unica possibile e realistica – un carattere sufficientemente incisivo.

Tirare le somme per una nuova forza di sinistra in questo scenario non è facile, anzi è una impresa decisamente ardua. Eppure bisogna farlo.
Personalmente la vedo così.
Mi soffermo dapprima sulla scena internazionale.
La sinistra Ds ha condotto la sua battaglia in nome del socialismo democratico europeo.
È questo il suo naturale e coerente ancoraggio.
Bisogna dare un contributo a risvegliare la critica di un capitalismo che accresce le disuguaglianze e devasta in maniera predatoria l’ambiente e a elaborare politiche atte a contrastare queste tendenze e a invertirle, reagendo rivendicando il ruolo dei poteri pubblici democraticamente legittimati di fronte al crescente potere di una plutocrazia industriale e finanziaria che ha assunto direttamente nelle proprie mani le maggiori decisioni attinenti alla produzione e alla dislocazione delle risorse obbedendo alla logica dominante del proprio profitto e riducendo i governi a enti amministrativi oppure assumendone direttamente la direzione, come nel caso dell’amministrazione Bush.

E vengo alla scena italiana.
Penso, lo voglio ripetere, che attualmente non sia la sinistra intesa genericamente a poter costruire un comune denominatore politicamente efficace delle forze che si collocano a sinistra del Partito Democratico nella topografia parlamentare.
I poli non possono che essere due: l’uno quello dei socialisti democratici ancorati al PSE, l’altro quello della sinistra chiamata ancora a fare i conti con il lascito del comunismo.
Queste due sinistre possono collaborare, devono farlo, devono trovare punti di intesa, muoversi anche insieme sulla base delle intese raggiungibili.
Ed è da augurasi che prima o poi si creino le condizioni per un incontro, che non vedo possibile se non sul terreno del socialismo democratico.
Bisogna inoltre operare perché le due sinistre trovino gli opportuni raccordi con il Partito democratico per governare il Paese, naturalmente a condizione che questo non subisca una inaccettabile deriva centrista e moderata.

Un’ultima considerazione.
È comprensibile che, mentre lo scenario politico italiano è tutto in movimento, mentre a sinistra del Partito democratico si pongono interrogativi e si impongono risposte in tema di trasformazioni e aggregazioni, si paghi lo scotto alle rivendicazioni di orgoglio di parte che affondano nel passato di ciascuno.
Lo hanno fatto recentemente sia Boselli sia Diliberto, quello affermando l’orgoglio di essere socialisti e la volontà di far rinascere il Psi, questo proclamando l’orgoglio di essere comunisti.

Mi permetto di dire a Boselli e a Diliberto che devono stare attenti.
Non si illuda Boselli. La storia non passa invano. Di fronte ad un Psi rinato la gente, gli elettori, non penseranno al Psi di Turati e degli apostoli del socialismo umanitario, ma al Psi dei primi anni novanta, e di fronte alle manifestazioni di orgoglio dei neocomunisti questa stessa gente e questi stessi elettori penseranno al guscio che quando era pieno tradì le sue promesse e al guscio vuoto di oggi.

Se si vuole davvero una sinistra all’altezza dei tempi e dei problemi che abbiamo di fronte bisogna che sulle rivendicazioni orgogliose prevalgano lo spirito critico verso il passato il quale altro non è, nella sostanza, se non la vera fiducia nel futuro e la volontà di rimuovere i detriti che la storia ha depositato per quanto ciò possa essere doloroso salvando di essi quel che davvero si può e vale la pena di salvare.

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